La famosa ONG americana World Central Kitchen ha annunciato la fine delle distribuzioni alimentari a Gaza: Israele impedisce l’ingresso degli aiuti. Un gesto umanitario impossibile, dentro una strategia militare che molti definiscono “pulizia etnica per fame”.
Il cibo è finito. Gaza resta sola
Dopo 130 milioni di pasti distribuiti, la WCK comunica che le sue cucine non possono più operare: i magazzini sono vuoti, non ci sono ingredienti né per cucinare né per impastare il pane. Il fondatore, lo chef José Andrés, accusa:
“Le nostre camionette sono ferme in Egitto, Giordania e Israele. Sono pronte, ma nessuno ci permette di entrare.”
Blocco totale degli aiuti: una scelta politica
Dal marzo scorso, Israele ha completamente bloccato l’ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia. La motivazione ufficiale è che Hamas ne devierebbe l’uso a fini militari. Ma i risultati sono drammatici: intere famiglie non hanno più nulla da mangiare.
Strategie della fame: non è un’emergenza, è un metodo
Secondo diverse ONG, giornalisti e osservatori ONU, la fame a Gaza non è solo un effetto collaterale della guerra, ma uno strumento deliberato di pressione. Una strategia già vista nella storia della Palestina: dal 1948, Israele ha promosso l’abbandono forzato di terre da parte dei palestinesi, usando spesso l’embargo economico, i blocchi militari e le demolizioni.
Il blocco degli aiuti, affermano molti analisti, rientra in questa politica di svuotamento del territorio, finalizzata a favorire l’espansione israeliana e lo spostamento forzato della popolazione.
Fame come arma di guerra
Le immagini che arrivano da Gaza mostrano bambini disidratati, anziani denutriti e padri che cercano farina tra le macerie. L’ONU parla di catastrofe umanitaria in atto. Eppure, il flusso di aiuti resta fermo.
“Senza pane, nessuno può resistere a lungo. Si vuole piegare la resistenza palestinese affamando le famiglie”, scrive un volontario rimasto in zona.
Israele non sta semplicemente bloccando gli aiuti: sta affamando deliberatamente una popolazione civile. È difficile, oggi, non vedere nella fame imposta a Gaza un’estensione moderna delle pratiche coloniali che hanno segnato la storia della Palestina dal 1948. La giustificazione della “sicurezza” crolla di fronte a centinaia di migliaia di bambini denutriti, ospedali senz’acqua e pane che non si può più impastare.
L’uso del cibo come arma – o meglio, la sua privazione – non è più solo una tragica conseguenza della guerra: è diventato uno strumento sistemico di pressione politica, sociale e demografica. Una tattica per forzare l’esodo, spezzare il tessuto di una società, minare ogni possibilità di sopravvivenza dignitosa.
In altri contesti, questo verrebbe chiamato crimine contro l’umanità. Quando la fame viene progettata, calcolata, lasciata propagare, siamo oltre ogni soglia morale. È tempo di dirlo chiaramente.
GIPHY App Key not set. Please check settings