Il giornalista Wael Dahdouh ha perso la sua famiglia sotto i bombardamenti israeliani, ma non ha mai abbandonato la sua missione: raccontare la verità al mondo.
Giornalista palestinese che ha perso tutta la sua famiglia
Wael Dahdouh, soprannominato “Abu Hamza”, secondo una tradizione molto diffusa nel Levante arabo, dove il padre assume il kunya, ovvero un soprannome composto da “Abu” (che significa “padre di”) seguito dal nome del primogenito.
In questo caso, Hamza è il suo figlio maggiore.
Se invece il primo figlio fosse stato una femmina di nome Aisha, sarebbe stato chiamato “Abu Aisha”.
È un modo affettuoso e rispettoso con cui ci si riferisce ai genitori nella cultura araba orientale.
Il giornalista Wael Dahdouh è nato, cresciuto e ha studiato a Gaza, precisamente nel quartiere più antico della città, Al-Zaytoun, il 30 aprile 1970.
Dopo aver terminato il liceo nel 1988, fu arrestato dalle forze di occupazione israeliane per la sua partecipazione alla prima Intifada palestinese.
Trascorse sette anni nelle carceri israeliane, durante i quali riuscì a ripetere e superare l’esame di maturità, nonostante le difficili condizioni.
Dopo il suo rilascio, si iscrisse all’Università Islamica di Gaza, dove conseguì la laurea in Giornalismo e Comunicazione, e nel 2007 ottenne un Master in Studi Regionali presso l’Università Al-Quds di Abu Dis.
Avviò la sua carriera nel giornalismo nel 1998, lavorando per varie agenzie tra cui il quotidiano Al-Quds. Collaborò con “Voice of Palestine” e con l’emittente iraniana Sahar TV.
Nel 2003 passò ad Al Arabiya, e nel 2004 fu nominato corrispondente di Al Jazeera nella Striscia di Gaza, diventando poi direttore dell’ufficio locale.
Dahdouh è stato fondamentale nel rendere Al Jazeera una fonte primaria per le notizie esclusive da Gaza.
Ha coperto eventi drammatici come l’assassinio dello sceicco Ahmad Yassin, i conflitti palestinesi interni e le offensive israeliane del 2008, 2009, 2012 e infine quella devastante del 2023.
Ma il momento più tragico della sua vita è arrivato il 25 ottobre 2023.
Mentre era in diretta su Al Jazeera a documentare i bombardamenti israeliani su Gaza, ricevette una telefonata:
una casa nel campo profughi di Nuseirat era stata colpita da un raid aereo.
All’interno si trovava la sua famiglia.
Nell’attacco persero la vita:
sua moglie,
sua figlia di sei mesi,
suo figlio più piccolo,
suo nipote,
e altri membri della famiglia.
Una tragedia totale.
Lo vidi in quei momenti. Arrivò sul luogo della strage, chiedendo se qualcuno della sua famiglia fosse sopravvissuto.
I video mostrano il dolore sul suo volto, mentre pronuncia parole che nessuno potrà dimenticare:
«Si vendicano di noi uccidendo i nostri figli? Le nostre lacrime sono lacrime di umanità, non di codardia o di resa. Che l’esercito dell’occupazione sia maledetto!»
E in un’altra occasione, con voce ferma, aggiunse:
“Continueremo a portare la telecamera, continueremo a raccontare la verità, anche se dovessimo pagarlo con la nostra vita.”
Eppure, la lista del dolore non era finita.
Il 7 gennaio 2024, anche Hamza Dahdouh, il figlio maggiore di Wael, è stato ucciso in un attacco israeliano a Khan Younis, insieme al collega giornalista Mustafa Thurayya.
Hamza, come suo padre, era un giornalista impegnato sul campo.
Quella perdita ha rappresentato un colpo durissimo, forse il più insopportabile.
Wael non ha perso solo moglie e figli, ma anche il suo primogenito, compagno nella stessa missione di verità.
Io stesso ho lavorato come inviato in zone di guerra. So bene cosa significa trovarsi tra le bombe.
Ma la guerra che ha vissuto Wael è diversa. Israele non rispetta né leggi di guerra, né convenzioni umanitarie.
Bombarda scuole, ospedali, campi profughi, donne incinte, bambini e giornalisti.
Sai quanti giornalisti sono stati uccisi a Gaza dal 7 ottobre 2023?
207 morti.
Nemmeno nelle guerre mondiali si era registrato un simile bilancio.
Colpire la stampa è una strategia precisa: eliminare la voce dei testimoni.
Lo hanno fatto con Shireen Abu Akleh, uccisa con un colpo alla testa l’11 maggio 2022, nonostante fosse chiaramente identificata come giornalista.
Israele non teme il giudizio del mondo.
E i governi che si dicono democratici? Tacciono.
Tacciono davanti ai massacri. Tacciono davanti all’occupazione.
Come si può parlare di pace, quando si costruisce sull’ingiustizia e sul sangue?
In un mondo dove l’umanità sembra diventata merce rara, Wael Dahdouh rimane un testimone vivo di dolore e resistenza.
Di fronte alla morte e alla distruzione, non ha lasciato cadere la sua videocamera, né ha permesso che la verità gli fosse strappata dal cuore.
La sua storia rimarrà una ferita aperta nella memoria di chiunque crede che la giustizia non sia nata per essere assassinata.
Nota dell’autore:
Questo articolo d’opinione è stato scritto a mano in lingua francese e successivamente tradotto in italiano, preservando fedelmente lo stile, la voce e l’intenzione originale dell’autore.
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